Fenomenologia della fila (secondo Stefano Guerra)

viva la fila i romagnoli ammazzano al mercoledì

Che poi, come uno psicologo fai da te, di quelli che si montano e smontano nella propria testolina non ammobiliata delle teorie Ikea economiche e componibili, mi sono consigliato di stare il meno possibile in compagnia di me stesso, anche perché quando rifletto tra me e me finisco sempre per litigare con l’altro me, che oltre ad avere sempre ragione è anche una grandissima testa di cazzo, e quindi lo psicologo fai da te che è dentro me, onde evitare queste lotte intestine nonché a volte intestinali, per il bene di questa famiglia mononucleare che rappresento, come soluzione terapeutica al mio disagio mi ha suggerito caldamente di trovarmi qualcosa di concreto da fare per riempire questi vuoti degradanti, come ad esempio sforzarmi di frequentare persone di qualsiasi tipo, scavare buche per poi riempirle, rimettere nella cassetta degli attrezzi le seghe mentali, e allora per assecondare lo psicologo fai da te che è dentro me, mi sono dato all’hobby delle file e della socializzazione con chi vi è coinvolto.

Come potete immaginare, è un mondo piuttosto variegato e trasversale quello delle file, manifestandosi ad esempio in luoghi molto differenti tra loro, al supermercato come alla posta, dal tabaccaio come dal dentista, allo stadio come in discoteca, con ognuna di queste file che ha una sua particolare identità, un proprio metabolismo di aggregazione e smaltimento, un bouquet di odori barricati e retrogusti caratteristici dipendenti da diverse variabili, come ad esempio le aspettative nutrite verso l’obiettivo finale (procacciare pane e salame, pagare le bollette, reperire le sigarette, farsi estrarre un dente, tifare la propria squadra, sbavare sulle cubiste), la tipologia socioculturale delle persone che vi partecipano (responsabili degli acquisti, anziani mattinieri, impiegati in pausa pranzo, ragazzi brufolosi, hooligans rasati, fighetti già pippati), l’atteggiamento circostanziale dei vari soggetti presenti (rassegnati, spazientiti, frettolosi, nervosi, entusiasti, arrapati), le dinamiche di interazione (quel tizio lì l’ho già visto, che nessuno mi inculi il posto, siamo tutti sulla stessa barca, speriamo che non mi rivolga la parola, andiamo a far casino, sarebbe stato meglio andare al casino) e gli eventuali strumenti atti a lenire la noia (smartphone con social network, dépliant pubblicitari, schedine del Totocalcio precompilate, riviste di gossip datate, Caffè Borghetti, fondoschiena da passerella), insomma, quello delle file è un mondo a parte, una microcultura autoctona di ogni locale che ne prevede una, così dall’alto della mia esperienza in materia, tanto per tirare le somme, posso tranquillamente affermare che in una fila la gente non si comporta mai come si comporterebbe fuori dalla fila e che ogni luogo ha la sua fila distintiva, unica e irripetibile.

Che poi, se fosse un titolo sarebbe: “Il discreto fascino della fila: viaggio interiore nella Salerno-Reggio Calabria che è dentro di noi”.

Suvvia, ora possiamo dirlo, ditelo anche voi, diciamolo tutti assieme, non vi vergognate dài, so che piace pure a voi, non ditemi che non è vero, non tiratevi indietro proprio adesso, ci sarà almeno qualcun altro che è come me, non lasciatemi solo come un coglione a urlarlo in questa piazza, e vabbè come volete, andrò avanti per conto mio, lo griderò forte al mondo intero sfidando i benpensanti.

Okay, adesso lo dico, Viva la fila!

(tratto da I romagnoli ammazzano al mercoledì, Las Vegas edizioni)

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